Torre di Sant’Alluccio (da San Baronto)

TORRE DI S. ALLUCCIO da San Baronto
di Aldo Innocenti

Sassone delle palaia di pietra

CARATTERISTICHE ITINERARIO
Dislivello: località Madonnino 443 m. s.l.m. – Torre di S. Alluccio 540 m. s.l.m. dislivello 97 metri
Distanze progressive:  Madonnino – Bivio Sassone della Palaia di pietra  1.000 metri – Sassone della Palaia di pietra 1.200 metri – Bivio Sassone della Palaia di pietra 1.400 metri – Le Croci 3.000 metri – Torre S. Alluccio 4.300 metri – Distanza totale fra andata e ritorno 8.600 metri

PERCORSO
Il percorso ha inizio non propriamente da San Baronto bensì dalla località Il Madonnino (443 m. s.l.m.) che è situata sul Colle di Montefiore, ai piedi della grande antenna per le telecomunicazioni: spieghiamo come raggiungere questa località. Da San Baronto si percorre la strada in direzione Vinci per circa 3 km fino a quando si nota sulla sinistra una strada asfaltata che s’inerpica sul Colle di

Barinci e Gianluca al Sassone della palaia di pietra

Montefiore: le indicazioni stradali sono per il ristorante Casa di Monte. Per chi provenga da Vinci in direzione San Baronto la strada la incontra sulla destra circa 3 km. prima del valico. Imboccata la strada, si percorre per tutta la sua lunghezza, circa 2 km., tralasciando la deviazione che si incontra sulla destra per il ristorante Casa di Monte: la strada termina nei pressi di una sbarra, dove ha inizio la strada di servizio per la grande antenna della telefonia. Vogliamo rendere noto che sul Colle di Montefiore fino al 1944: si trovava una torre, era la Torre Poggi – Banchieri, perché di proprietà della nobile famiglia che possedeva, e ancora possiede, la villa di Santonuovo. La torre, mèta preferite delle gite degli abitanti di Montemagno e dintorni, venne abbattuta con la dinamite dai tedeschi nel 1944: allegata all’itinerario potrete trovare una foto della torre tratta dal libro Quarrata e dintorni Edizioni Gli ori pubblicato con il contributo della Banca di Credito Cooperativo di Vignole, bellissima finestra aperta su Quarrata dei tempi antichi. Parcheggiata l’auto nello spiazzo antistante la sbarra, si va subito a destra  seguendo la carrozzabile che coincide con il sentiero di crinale, il sentiero CAI n. 300: subito sulla destra si incontra un tratto assai ben conservato delle mura del Barco Reale Mediceo posizionato sul crinale ovest del monte Poggio Papinta.

Mura del Barco Reale Mediceo sul percorso

Il Barco Reale Mediceo venne realizzato nel XVI secolo e costituiva una delle più importante riserve di caccia della famiglia dei Medici: il toponimo barco stava ad indicare un terreno boschivo circondato da un recinto, in questo caso un territorio delimitato da un robusto muro al cui interno di trovavano tante specie di animali da poter cacciare. Il muro di questa bandita partiva da Poggio alla Malva, dove ancora oggi si trova la Porta d’accesso, raggiungeva Vitolini, Mignana, Faltognano, Papiano, sfiorava San Baronto, aggirava il Montalbano spingendosi sul lato nord oltre il Colle di Montefiore, arrivava a Montemagno (nei pressi del cimitero di questo paese, lungo la strada che conduce a Lucciano, si trova ancora la casa del guardia del Barco), sfiorava Campiglio e Villa la Magia, risaliva subito al di sopra degli abitati di Lucciano, Montorio e Buriano, raggiungeva Spazzavento, oltrepassava a nord il borgo di Bacchereto, superava Santa Cristina a Mezzana e, infine, raggiungeva Artimino, dove si trova la grande villa La Ferdinanda, che era la residenza di caccia dei Medici, e Poggio alla Malva. I lavori di costruzione del Barco Reale iniziarono nel 1624 e terminarono nel maggio del 1626 sotto il regno di Ferdinando I: il muro di recinzione, costruito in  pietre di arenaria e arenaria macigno di dimensioni molto grandi, legate con calce, ed era dotato di cancelli e piccoli ponti per il passaggio delle acque, ma, mentre i cancelli sono del tutto scomparsi, restano ancora piccole tracce dei ponti e cateratte. Le mura delimitavano una grande estensione di terreno, circa 50 km. di cui ne restano tracce per 30 km., al cui interno si trovavano numerose fattorie come quella di Ginestre, di Artimino e molte case abitate dalla Guardie e dai Birri (vedi il Casino dei Birri sul monte Pietramarina), sorveglianti del barco che avevano il compito di tutelare il patrimonio faunistico e boschivo della tenuta. Esistevano, infatti, delle regole molte rigide riguardo la caccia, il taglio dei boschi e il mantenimento delle mura. Con l’avvento dei Lorena nel 1738 il barco fu soggetto ad uno sfruttamento più razionale: la gestione diretta delle fattorie granducali venne affidata

La croce in ricordo di Oreste Baldacci in località Le Croci

agli affittuari che avevano il compito di anticipare la rendita al proprietario. Sempre ai Lorena si deve la suddivisione del barco in dieci parti, chiamate decimi, per la rotazione dei tagli degli alberi, e la realizzazione di una pianta del perimetro della bandita attribuita a Bernardo Sgrilli. Tale planimetria dettagliata fa capire che nella alla metà del Settecento l’interesse per il barco era esclusivamente legato al commercio del legname: dopo la seconda metà del XVIII secolo, per la diminuita richiesta di legname e per i costosi lavori di manutenzione necessari, il barco venne dimenticato. Il granduca Pietro Leopoldo tentò di ripristinare il barco, ma venne fermato nelle sue intenzioni dalle ingenti spese che si sarebbero dovute affrontare: così il 13 luglio 1772 giunse inevitabile la sbandita del Barco Reale, che decretò anche la vendita della fattorie in esso contenute e la demolizione di alcuni tratti delle mura. Nell’ottocento, poi, le pietre del barco vennero usate per delimitare poderi e terreni privati: così oggi non sono molti i tratti visibili, tra i quali quello che si trova su questo percorso è sicuramente uno dei meglio conservati.
Dopo aver osservato le mura del Barco Reale Mediceo proseguiamo il cammino sulla sterrata: dopo aver superato il recinto del Ristorante Casa di Monte la strada prosegue per circa 100 metri, poi svolta prima a sinistra e poi a destra, si supera una prima salita sul crinale ovest del monte Poggio di Baldo, poi un tratto in falsopiano, poi ancora un’altra salita alle pendici del monte Poggio Il Casino. Al termine di questa salita,  proprio davanti ad un pezzo di bosco bruciato nell’agosto 2008, sulla destra ha inizio un sentiero, assai evidente in quanto il bosco è stato tagliato nella primavera del 2009, che conduce al Sassone della Palaia di pietra, distante solo 200 metri dalla carrareccia.
Questo enorme masso di arenaria macigno un tempo svettava ben al di sopra della vegetazione e dalla sua vetta si poteva godere di un vasto panorama: gli anziani di Montemagno ricordano ancora con nostalgia quando ancora giovani si spingevano sul crinale del Montalbano e salivano sul sasso per poter osservare il mare, mare che tanti di loro hanno visto solo da lassù. Il Sassone altro non e’ che un colossale monolito, alto quasi tre metri, circondato da altri sassi  di minori dimensioni, disposti in circolo attorno ad esso. La sua forma, le sue dimensioni e la collocazione hanno dato origine a diverse e suggestive ipotesi, tra cui quella che possa trattarsi di un luogo di sepoltura o di culto, da collegare alle civiltà megalitiche. Ovviamente non si tratta che di supposizioni tutte da verificare, ma, in certa misura, queste possono essere avvalorate dal toponimo, dalla tradizione locale e anche dal posto in cui si erge il monolito, a dominare le due vallate, come un vero e proprio osservatorio.
Fatto ritorno sulla sterrata, andiamo a destra e la seguiamo ancora: ora il bosco si dirada (anche perché la vegetazione è relativamente bassa a causa di un disastroso incendio verificatosi alcuni anni fa) e ci permette ottime vedute, con davanti a noi il monte La Cupola (621 m. s.l.m.), la cima più alta del Montalbano. Dopo un tratto in falsopiano, la strada scende di quota per raggiungere la località de Le Croci (452 m. s.l.m., 3.000 metri dalla partenza). Poco prima dell’incrocio con la carrozzabile Quarrata – Vinci, sul lato sinistro, si trova la pietra con la croce posta in memoria di Oreste Baldacci, che qui venne ucciso (vedi note storiche). Proseguiamo e all’incrocio andiamo a sinistra , sempre lungo il sentiero 300 e dopo poche decine di metri andiamo a destra : ora la strada sale verso la Torre. La strada, che coincide sempre con il sentiero CAI n. 300, è ampia ed è impossibile sbagliare: a circa 1.300 metri dal Passo de Le Croci troviamo il bivio per la Torre di S. Alluccio (4.300 metri dalla partenza). Infatti sul lato destro della strada si nota una vecchia pietra miliare e di fronte ad essa si diparte a sinistra una breve strada che conduce al pianoro della Torre di S. Alluccio. Dell’antica torre di proprietà del Conte Spalletti di Lucciano, della casa del contadino (situata sul lato ovest) e della casa del guardiacaccia ora restano i ruderi, ma sono sufficienti a far intravedere la magnificenza di un tempo. La zona si presenta come un vasto pianoro punteggiato da alberi e da grosse antenne: un tempo qui di alberi ce n’erano pochi e tutta l’area veniva coltivata a grano, orzo e patate, tanto da rendere autosufficienti le famiglie che vi abitavano. Sul pianoro insiste una grossa croce installata dall’Associazione Nazionale Alpini di Quarrata: sono loro che una volta l’anno, in occasione della loro festa che svolgono qui (generalmente nell’ultima domenica del mese di giugno) danno una pulita alla zona.

NOTE STORICHE

Torre di Sant’Alluccio

Prima della seconda guerra mondiale e fino agli anni cinquanta del Novecento per Ferragosto, Pasquetta e Ascensione era tradizione che le genti di Quarrata e dintorni si recassero alla Torre di S. Alluccio: naturalmente a piedi e in comitiva con il paese che si svuotava quasi del tutto. La sera precedente tutti si preparavano per la gita: pane, braciole impanate (quei pochi che potevano permettersele), uova sode, frittate, frutta, mentre l’acqua veniva presa lungo il percorso alle varie fonti che si potevano incontrare come quella del Nelli, del Sasso Regino, di Tacinaia, della Bettina. Generalmente la colazione veniva fatta al Sasso Regino: per chi capiti ora da quelle parti è difficile credere che la zona fosse priva di alberi e che lo sguardo potesse abbracciare tutta la pianura pratese e pistoiese fino al centro storico di Firenze. Addirittura guardando a ovest, nelle giornate più limpide, si poteva vedere il mare. Nel bellissimo libro Quarrata, voci dal passato, a cura di Laura Caiani Giannini e Carlo Rossetti, Edizioni Gli Ori, ci viene descritto il viaggio fatto da Quarrata a Sant’Alluccio e la permanenza alla torre dove si trovavano anche la casa del contadino e la casa del guardiacaccia: nella casa del guardiaccia fino al 1950 viveva Oreste Baldacci, guardiacaccia del conte Spalletti, con la moglie Spinalba e la figlia. Purtroppo Oreste, che svolgeva le sue mansioni di guardiano dei boschi in compagnia del suo cane Rai, il 3 aprile 1950 venne ucciso a bastonate nella vicina località de Le Croci dal contadino che abitava nella casa situata sul lato ovest della Torre di S. Alluccio, tale Mengarino (questo è il soprannome perché il nome vero non mi è noto), probabilmente sorpreso a rubare legna. Questo triste episodio è stato ricordato dai parenti del Baldacci con un croce posta sopra un masso proprio in località de  Le Croci: di fianco al masso ne è posto un altro più piccolo su cui sono incise O. B. 3.4.1950, cioè le iniziali di Oreste Baldacci e la data del suo assassinio. Per chi volesse vedere il sasso con la croce ricordo che le Croci (dove c’è anche un piccolo circuito per motocross) è il passo che mette in comunicazione Quarrata con Vinci: partendo da Buriano, appena si arriva sul crinale del Montalbano, invece di proseguire per S. Amato di Vinci lungo la strada asfaltata si gira a destra per S. Baronto e dopo pochi metri la si incontra sul lato destro. La zona della Torre di S. Alluccio è stata frequentata fino dall’antichità: da qui passava una delle strade che mettevano in comunicazione la valle dell’Ombrone pistoiese con il Valdarno e, quindi, con la Via Francigena, la più importante arteria del Medioevo. S. Allucio aveva la funzione di ricovero per pellegrini e viandanti: la tradizione afferma che il romitorio sia stato fondato da Alluccio, santo nato in Val di Nievole.

Croce degli Alpini nei pressi della Torre di Sant’Alluccio

S. Allucio  (dal sito  www.santiebeati.it– Sant’Allucio è il Santo di Pescia, e le sue reliquie sono accolte nella bella cattedrale della città. Ed è un Santo che ben incarna le caratteristiche di una terra e di un popolo, perché fu strenuo senza essere rigido; ascetico senza essere astratto; votato alla contemplazione, ma anche pronto all’azione; di profonda pietà, ma anche di ardente carità. Egli era nato, nell’XI secolo, a Campugliano, in Val di Nievole, da famiglia contadina. Ragazzo, custodiva gli armenti, quando si fece notare per insoliti episodi che testimoniavano la sua non comune tempra spirituale. Cresciuto d’anni, venne affidato alla sua operosa pietà l’ospizio di Campugliano, praticamente in rovina. Allucio lo riportò ad un’ammirabile efficienza di bene, aiutato da alcuni compagni ricchi come lui di zelo di carità, detti poi Fratelli di Sant’Allucio. Per assistere meglio i poveri e i bisognosi, il giovane Allucio fondò un altro ospizio sul Monte Albano (proprio alla Torre detta di S. Alluccio). Un terzo lo creò presso la riva dell’Arno, sul quale costruì addirittura un ponte, per comodità dei pellegrini. Quest’ultima non fu impresa facile, non soltanto per i problemi tecnici ma perché Sant’Allucio dovette convincere e ammansire il traghettatore locale, che traeva lauti guadagni facendo passare i viaggiatori da una sponda all’altra. 1 miracoli, a detta della tradizione, si moltiplicarono numerosissimi intorno al benefattore dei poveri. Per questo gli furono demandate, in città lontane, vere e proprie missioni diplomatiche, che Allucio svolse con successo, riuscendo a pacificare tra loro, per esempio, le due città rivali di Ravenna e di Faenza. Tra gli interventi miracolosi tramandati dalla devozione, il più insolito fu quello dell’uomo al quale erano stati cavati gli occhi, come punizione per qualche delitto commesso, secondo la cosiddetta ” legge del taglione “, comune nel Medioevo. Non per dispregio della giustizia, ma per pietà dell’accecato, anche se colpevole, Sant’Allucio avrebbe rimesso al loro posto gli occhi nelle cave orbite del condannato, restituendogli la vista. Quanto era attivo nel fare il bene, altrettanto era severo con se stesso, Non mangiava mai carne, né formaggio, né uova. Digiunava tre volte alla settimana. E per sette Quaresime consecutive non toccò cibo affatto. Morì il 23 ottobre 1134, sereno e attivo fino all’ultimo istante. Immediatamente venne fatto oggetto di un vivace culto popolare. Soltanto nel ‘700, però, il suo culto venne autorizzato ufficialmente dalla Chiesa, e pochi anni dopo le reliquie di Sant’Allucio trovavano degna accoglienza nella cattedrale di Pescia, la città di cui l’antico Santo penitente e benefattore sembrava fatto su misura.

Il Repetti nel suo Dizionario Corografico della Toscana, stampato nel 1845 e che costituisce la base fondamentale di tutta la storia e la geografia della Toscana, così descrive la Torre di S. Alluccio e il Montalbano:
Torre di S. Alluccio – Casalone con torre sopra una delle più eminenti creste del Monte Albano, dove, a riferire del biografo di S. Alluccio, sembra che questi vi avesse edificato un qualche ospizio o eremo, divenuto in seguito possessione del vicino monastero di S. Baronto. È un punto di prospettiva magnifico, di dove si dominano le valli dell’Arno dai monti di Vallombrosa sino a bocca d’Arno con tutte le sue tributarie. Risiede a 929 braccia sopra il livello del mare.
Monte Albano nel Pistoiese  Dicesi Monte Albano la più elevata diramazione dell’Appennino che dalla foce di Serravalle stendesi nella direzione di maestro a scirocco fra l’Ombrone pistojese e l’Arno sino alla gola della Golfolina, dal 28° 29′ al 28 ° 41′ di longitudine e dal 43° 44′ al 43° 55′ di latitudine. Le sue principali cime denominate Pietra marina e S. Alluccio sono elevate sopra il livello del mare, quella 984, e questa 929 braccia. Trovansi nel suo fianco orientale le Comunità di Carmignano e di Tizzana, nel lato occidentale Monte Vettolini, Lamporecchio, Vinci e Cerreto Guidi, a settentrione maestro Serravalle, e a scirocco Capraja. – La natura del terreno partecipa nella massima parte di quello di sedimento inferiore, coperto nella sua base orientale da sedimenti palustri, e nel suo fianco occidentale da immensi depositi di ciottoli e ghiaje che ricuoprono una marna ricca di fossili terrestri e marini. Alla parte australe di questa diramazione fu dato il nome di Barco Reale per un vasto parco, vestito di selve, fatto circondare di mura dal Gran Duce Ferdinando II ad uso di caccia.